Hai mai provato a calcolare quanto dura effettivamente un minuto? Prova a fare un piccolo gioco: avvia il cronometro, conta fino a 60 e poi controlla quanto tempo è effettivamente passato. Probabilmente il tuo calcolo non sarà stato coincidente con quello del cronometro e questa, in fin dei conti, è una semplice spiegazione di quel fenomeno che i neuroscienziati chiamano percezione del tempo. Gli orologi tengono il tempo oggettivo, ma le persone lo misurano e lo valutano in base a una loro percezione che è del tutto idiosincratica.
In altri termini, la nostra esperienza personale, interna e soggettiva del tempo, è influenzata da sistemi neurali e percettivi cooperativi che sono molto complessi e sono unici, difficilmente prevedibili. Tuttavia, c’è una buona notizia: possiamo usare la nostra conoscenza della percezione del tempo per essere più produttivi in azienda e far sì che siano più produttivi anche i nostri collaboratori.
La percezione del tempo al lavoro
Stando a quanto affermano diversi studi in questo ambito, la percezione del tempo è strettamente legata a quelle che sono spesso considerate due delle principali abilità e funzioni cognitive: l’attenzione e la memoria di lavoro. Ne consegue che quando ci annoiamo e il tempo rallenta, ci disimpegniamo e la nostra capacità di prestare attenzione e di ricordare ciò su cui stiamo lavorando diminuisce, conducendo a più errori e a una minore produttività.
Come se quanto sopra non fosse sufficiente, la noia favorisce anche il “vagabondaggio della mente”, che può compromettere la buona esecuzione dei compiti. In altre parole, se siamo annoiati e ci stiamo comunque costringendo in qualche attività lavorativa, è molto più probabile che finiremo con il commettere degli errori.
Naturalmente, il vagabondaggio mentale può pur essere utile, poiché è un’importante valvola di sfogo per la noia e può stimolare la creatività. Tuttavia, se eccessivo, può condurre a numerosi malus, come ad esempio la percezione alterata e la contrazione del tempo, con la conseguenza di perdere la cognizione del tempo e rendersi conto che la scadenza è improvvisamente molto più vicina.
Come influenzare la percezione del tempo
Per quanto la percezione del tempo sia legata ad alcuni fattori psicologici profondamente radicati, è comunque facile influenzarla.
Uno dei metodi più consigliabili è ad esempio quello di fare una pausa e introdurre un momento di cambiamento o di novità: si tratta di un approccio utile per combattere la noia e l’affaticamento mentale, correggendo così le distorsioni temporali e resettando il nostro carico cognitivo per tornare alla produttività.
Anche una pausa di soli dieci minuti può essere utile, se sfruttata in maniera idonea: per esempio, un recente esperimento ha dimostrato che l’interazione con dei cuccioli di animali domestici per qualche minuto al giorno può migliorare la produttività in azienda. Considerata la presumibile complessità nell’organizzare questo genere di soluzione, si può comunque incentivare a usare la pausa per fare una passeggiata, disegnare o dipingere un quadro.
Lo Zimbardo Time Perspective Inventory
Oltre alla prospettiva di breve termine, anche il modo in cui ci orientiamo su una scala più lunga può influire sulla produttività e sull’impegno. Philip Zimbardo, un importante psicologo, noto soprattutto per l’esperimento carcerario di Stanford, più di venti anni fa rivolse la sua attenzione alla comprensione di come le persone pensano a se stesse nel tempo ideando lo Zimbardo Time Perspective Inventory: una serie di domande che valutano la prospettiva temporale di un individuo, ovvero come si sente l’individuo rispetto al passato, al presente e al futuro.
La valutazione classifica la prospettiva temporale di una persona in uno dei sei tipi: passato-negativo, passato-positivo, presente-fatalistico, presente-edonistico, futuro-positivo e futuro-negativo. Al di là di come si applichino questi studi nella propria organizzazione, una cosa sembra essere prevalente per i manager: comprendere come il leader e le persone con cui lavora si vedono nel tempo è importante perché essere ottimisti sul futuro contribuisce alla produttività.
Nel 2016, ad esempio, alcuni ricercatori olandesi hanno scoperto che i dipendenti che si orientavano verso il futuro erano più propensi a impegnarsi attivamente nel job crafting, ovvero a lavorare attivamente per plasmare il proprio ruolo in base alle proprie competenze ed esigenze, ricercando anche nuove conoscenze. In definitiva, questi dipendenti positivi per il futuro erano più soddisfatti e impegnati nel loro lavoro…